L’ora del sè
Costantemente insieme agli altri, volendo o dovendo.
Sempre, inevitabilmente in corsa, inseguendo gli impegni, inseguiti a nostra volta. Inglobati nel cemento delle nostre città, piegati alle loro abitudini, alla lentezza della burocrazia, mentre ci viene rubato quel tempo che ci appartiene; il tempo dell’anima. Incessantemente carichi delle nostre responsabilità, o di quelle di altri, incessantemente incatenati ai nostri doveri, oppure al fottersene e rimandare, alle nostre promesse, ai legami, alla cordialità forzata, ai saluti di circostanza
(Ciao come va?-Tutto a posto?-Ci si vede),
ai discorsi d’ascensore (Eh, già … Embè … Si va avanti … Non ci sono più le mezze stagioni…). In fuga da quel che davvero vorremmo discutere … argomenti sconvenienti, ( non è mai il caso, non è mai il momento, Non c’è tempo … ), rimaniamo in attesa del “resto del tempo”, ne parliamo spesso, e lo chiamiamo libero, come se dovesse prescindere dalla nostra normale vita, che libera non è … ed aspettiamo. E quel tempo sembra non arrivare mai, e domani è come oggi, ed oggi uguale a ieri.
Bisogna riappriopriarsene, inventarcelo, se necessario.
Bisogna fermarsi un attimo.
Quando? Per quanto il tramonto non sia un fenomeno anomalo, nonostante sia quanto di più comune e terreno possa
accadere ogni giorno, infiltrandosi nella realtà artificiale che ci siamo costruiti attorno, più potente
del filo d’erba che s’insinua nel bitume, rimane, persino al mio occhio abituatovisi, un fenomeno che
paradossalmente prescinde dal quotidiano, accantona il tran tran di informazioni che sono inutili alla
nostra mente; tutte quelle parole che abbiamo sentito o che abbiamo detto, i sorrisi fasulli, le frasi fatte,
le chiacchiere al bar che altro non sono che stupidi placebo per la nostra salute mentale, soluzioni alla
noia… Tutto fuorché vero vivere. Invenzioni atte al solo scopo di far passare il tempo che ci tocca vivere
nel modo più indolore per tenere alla larga i pensieri.
È Questo il tempo che manca. Il tempo per i confronti, il tempo per aprirsi, il tempo per ritrovarci. Siamo
così assuefatti dalla vita così come ce l’hanno insegnata, che non ci rimane tempo per noi.
E l’abitudine atrofizza il senso critico.
Nel caos di tale società ognuno vive come gli pare, o così crede.
Laddove non riusciamo a trovare o non si possono ricevere risposte, riusciamo da sempre a colmare
il vuoto trovandocele da noi, o inventandocele se vogliamo, le soluzioni, o ancora, prendendo per
buone quelle che ci offrono gli altri…
C’è chi riesce ad evitare le domande, o chi si risponde da solo e poi accantona le risposte.
Quelli cui piace bestemmiare, quelli che vanno alla ricerca di Dio richiudendosi alla domenica
mattina in chiesa.
Quanto a me, io sembro mettere in disparte le domande prive di risposta, ma allo stesso modo nego la negazione e nego anche le risposte facili.
Il tempo, basta scovarlo. Sapere dove ed a che ora trovarlo.
In piedi, sola, quattro pareti e una porta. Solitudine, claustrofobia, impotenza; (dov’è la chiave?), silenzio,
attesa (di cosa?).
Un’orgia di colori e sfumature si ramificano spezzando l’oscurità circostante. Rimango inerte a contemplarla, perdendomi in un milione di pensieri, allontanandomi con la mente da quel contesto colorato che mi si esibisce al di fuori dei vetri che mi dividono dall’esterno.
Tanta bellezza è sconcertante. Alcuni riflessi arancio scolpiscono le onde lontane del tramonto quasi del tutto spento;
Il cielo sta dando fine al suo ultimo spettacolo col sole nel ruolo del protagonista.
Nuvole sulle mia testa, leggere come bambagia, si muovono lente e ordinate come un gregge di pecore visto
con la moviola.
Quanto di più ovvio possa esserci ogni giorno. Guardarlo da soli è pura quiete e quanto di più raccapricciante.
Il fenomeno è simile a quello che avviene alle 4;00 di una notte insonne (“orario in cui tutto sembra
possibile”, S. King) ; Sei costretto a pensare. Sei obbligato a riflettere. E t’impressiona sentire
la tua stessa voce che sta a parlarti nella tua testa, perché durante la giornata non ci hai fatto caso.
E arrivano puntuali i dubbi e le domande, e le certezze di tutti i giorni cominciano a far perdere traccia di sé,
per lasciarti da solo, nell’universo della tua mente, unico luogo dal quale realmente non potrai mai sfuggire.
Il tramonto è sublime.
Sublime è per Kant il termine per indicare qualcosa ( solitamente facente parte del creato) che è talmente grandioso,
talmente suggestivo da creare nell’osservatore un senso di vertigine o di nausea
Il tramonto è il mio momento per me .
Laddove anch’io a quell’ora incontro tutte le domande che credevo lasciate in sospeso dalle crisi mistiche adolescenziali; dove, perché, chi, quando, come … so come rispondermi.
E guardando il sublime, fra le vertigini ( figurate o in senso lato, perché talvolta sono sul tetto) anche
quando non sono risposte quelle che attendo, tirando l’invisibile cerniera dell’orizzonte, … è me che trovo.
Ed è quel resto del tempo a cui ho diritto che ho capito come vivere.. |
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